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SIMON SPURRIER: "E' LA DIVERSITA' CULTURALE DI NOI BRITANNICI CHE PIACE AGLI AMERICANI"


Simon Spurrier

Simon Spurrier è uno dei nomi emergenti del nuovo fumetto britannico (e dunque statunitense). Dopo aver esordito sulle classiche riviste inglesi, lo sceneggiatore e romanziere in breve tempo è riuscito ad affermarsi sul mercato americano, scrivendo Silver Surfer e X Club per la Marvel, oltre che un fumetto digitale ambientato nel malsano mondo di Crossed per la Avatar e una nuovissima serie regolare per la Boom. Quella che vi propongo di seguito è il testo integrale dell'intervista da me realizzata per la rivista Mega (serializzata 180 e 181) e raccolta grazie all'intermediazione di Michele Foschini (che ringrazio)

copertina di Michael Turner per
Silver Surfer: in Thy name
miniserie sceneggiata da Spurrier



Ciao Simon, benvenuto sulle pagine di Mega. Fino a questo momento in Italia sono stati pubblicati solo pochissimi dei tuoi lavori (a memoria ricordo solo la miniserie dedicata a Denny Ketch), che ne pensi, quindi, di presentarti ai nostri lettori?

Certo. Ho iniziato a scrivere per 2000AD circa dieci anni fa. 2000AD è una nobile rivista antologica di fumetti inglese, con cinque o sei serie che si snodano parallelamente ogni settimana, per la maggior parte di fantascienza e orrore, con uno spazio riservato a singole one-shot. È perfetta per un aspirante scrittore di fumetti: è una prova del fuoco per le capacità di costruire coinvolgenti avventure in circa 5 pagine o meno! Dopo averne fatta qualcuna, ho iniziato a scrivere serie più lunghe, creando storie come Lobster Random, Bec & Kawl e Harry Kipling, nello stesso periodo ho cominciato a scrivere romanzi. (A quel riguardo, ho pubblicato recentemente un paio di polizieschi per Hodder Headline: Contract nel 2007 e A Serpent Uncoiled nel 2011.)

Tornando al folle mondo del fumetto, lavoro ancora per 2000AD (incluse molte storie di Judge Dredd), ma nel frattempo ho cominciato a lavorare per editori americani come Marvel e DC. Negli ultimi anni ho scritto Silver Surfer, Ghost Rider, Poison Ivy, X-Men, Wolverine e altri. Il mio più recente fumetto Usa include una serie online gratuita per Avatar intitolata Crossed: Wish You Were Here (visitate www.crossedcomic.com per leggerla!), che si svolge nell’universo Crossed creato da Garth Ennis. Sto scrivendo anche una nuova serie per Boom! intitolata Extermination, che è praticamente un incontro tra Mad Max e i supereroi.

Anche tu, come moltissimi altri grandi autori che ti hanno preceduto nell’avventura della “conquista” del mercato statunitense (gente del calibro di Moore, Milligan, Gaiman, Ennis, Ellis, Millar o Morrison solo per citarne alcuni), sei britannico. Qual è, secondo te, il segreto del successo degli autori britannici negli USA?

Mi sembra ovvio che qualsiasi risposta rischierebbe di cadere nella generalizzazione ma, partendo da questo presupposto, credo siano determinanti due cose. Primo, è una questione di abilità, che lavorando per 2000AD viene forgiata ad altissimi livelli. Ma ha anche a che fare con il ritmo, la velocità e la concisione: una volta che riesci a raccontare una storia evocativa con un personaggio forte in pochissime pagine – di solito in 5 o 6 pagine per episodio – quando si passa al formato americano è… be’… non è facile, ma molto meno doloroso. J  È come quella classica storia in cui un popolo cresciuto su un pianeta con una gravità maggiore arriva sulla Terra e scopre di essere super forte. E la cosa non funziona all’inverso!

Detto questo, i nomi britannici più famosi nel campo del fumetto americano (Warren Ellis e Neil Gaiman sono i primi che mi vengono in mente) non hanno lavorato molto per 2000AD, quindi di certo c’è qualcosa di più profondo. Penso che sia dovuto all’apprezzamento universale nei confronti dell’ironia nera e (siamo onesti) del sarcasmo. I britannici possono essere tizi musoni, cupi e mistificatori. Penso che l’identità culturale americana sia ben più ottimista, idealista e a volte ingenua, e così tutti questi britannici possono offrire al lettore americano qualcosa di diverso, un piacere colpevole, diciamo. Anche qui, non funziona all’inverso: se sei già un cinico bastardo, una voce narrante alta/positiva/ottimista può essere noiosa.

una copertina di 2000Ad
La Gran Bretagna è forse l’unica nazione occidentale nella quale continuano a essere pubblicate con discreto successo le riviste antologiche (parlo di 2000AD, ma anche di Clint). Che importanza rivestono queste sul mercato? Quanto sono importanti per gli autori giovani ed esordienti? E come mai nelle altre parti del mondo sembrano non funzionare più?

Ottima domanda. Risposta breve: non ne ho idea. C’è questa idea condivisa da molti che un’antologia non può funzionare su mercati diversi. Non sono sicuro che sia vero, personalmente… e se c’è qualcosa di vero, credo sia dovuto più ad aspetti del mercato (distribuzione, vendita) che poco hanno a che fare con il gusto del lettore. Per esempio, nei pochi posti negli Usa dove 2000AD è disponibile settimanalmente, ha un enorme successo. Spero che l’introduzione del fumetto digitale possa – debba! – cambiare la situazione per il meglio.

Che tiratura ha 2000AD e a che pubblico è destinato?

Temo di non poter dare una risposta accurata, non ne ho idea. Quello che posso dire è che viene pubblicato dal 1977 e ha un enorme base di pubblico sia tra i lettori occasionali che tra quelli fissi. A guardare le persone che passano a salutarmi alle convention, la maggior parte sono uomini tra i 20 e i 40, ma sono tutti di tipi diversi, e non è facile inquadrarli o accomunarli alla figura dell’Uomo dei Fumetti dei Simpson, sono tutte splendide persone. E c’è anche una buona porzione (e in continua crescita) di lettrici e giovani lettori, cosa meravigliosa.

Come autore di fumetti immagino tu abbia debuttato proprio su 2000AD Ci racconteresti come è avvenuto il tuo debutto nel mondo dei comics?

Come ho detto prima, 2000AD ha degli slot dedicati a storie brevi autoconclusive da 4 o 5 pagine. Ce ne sono di diversi tipi (alcuni sono racconti horror, altri su viaggi nel tempo) ma quelli più famosi si chiamano Future Shock: sono storie di suspense e thriller che portano a un colpo di scena finale. Molte di queste storie sono state realizzate da scrittori famosi, ma c’è una sorta di regola non scritta che questo slot sia dedicato a talenti emergenti.
Quando ebbi l’idea di lavorare come scrittore di fumetti (che coincise con la consapevolezza che esisteva un lavoro come “scrittore di fumetti”), iniziai a mandare a 2000AD storie per la sezione Future Shock. Erano, senza dubbio, tremende. Passai forse due anni (avevo circa 17 anni all’epoca) mandando al povero editore queste idee pessime, solo perché ero troppo arrogante per capire che le lettere di rifiuto (con le loro critiche brutali e le analisi impietose) non miravano a urtare i miei sentimenti, ma per indicarmi cosa sbagliavo. Presto o tardi cominciai ad assimilare le critiche, iniziando a ottenere risultati migliori.
Il mio primo lavoro fu il risultato di una gara pubblica, avvenuta a una fiera di fumetto, in cui i partecipanti erano invitati a illustrare le proprie idee a un gruppo di relatori. Le mie (relative a una balena spaziale, immaginate!) vennero scelte, e il premio fu la possibilità di scrivere una sceneggiatura da pubblicare. Cominciò tutto così.

Clown con la pistola


Mi racconteresti com’è nata l’idea per “Clown con la pistola”?

Per caso. Stavo creando una serie di storie autoconclusive nell’universo di Judge Dredd: questa gigantesca città futurista chiamata Mega City One. Volevo raccontare storie cupe e crude con una prospettiva da film noir, con annesso colpo di scena finale. Una delle storie era ovviamente su un investigatore privato – più noir di così… - e così mi ritrovai a pensare a che razza di persona potesse svolgere un lavoro simile a Mega City One, a come si sarebbe mossa, come si sarebbe vestita… Una delle cose migliori del mondo di Judge Dredd è che pervaso da una costante follia, è un mondo così folle che c’è bisogno di un viscido fascista come Dredd per mantenere il controllo, e così di conseguenza ho pensato che per essere sotto copertura bisognava comportarsi nella maniera più assurda e ridicola possibile. E così mi venne l’idea: un investigatore privato alcolizzato e intrattabile che si veste come un clown.

Sulla pagine di “Clown con la pistola” collabori con Frazer Irving. Che tipo di rapporto si è instaurato con Irving? Quanto è importante per la buona riuscita di un’opera avere un buon rapporto con il disegnatore?

Oh, è fondamentale. Per fortuna io e Frazer eravamo (e siamo) grandi amici. Conosciamo i rispettivi metodi di lavoro, ci fidiamo l’uno dell’altro e sappiamo che, se bisogna fare modifiche – dal punto di vista di sceneggiatura o disegno – è solo per migliorare il risultato finale. È una questione di fiducia.

Dall’Inghilterra agli USA e più precisamente alla Marvel. Come è avvenuto questo passaggio? Che differenze ci sono tra il lavorare per il mercato inglese, o più in generale europeo, e quello d’oltreoceano?

Ne ho già parlato, è un passaggio molto strano. I fumetti inglesi hanno una sensibilità, un particolare cinismo e di certo un formato unico: sono molto densi, di solito molto brevi, etc. Negli Usa si hanno a disposizione 22 pagine. Questo può essere pericoloso: uno dei miei spauracchi è la tendenza attuale alla “decompressione” dove, per leggere un fumetto americano, ci metti 3 minuti, perché di solito non succede nulla. Sequenze di pagine da 2 o 3 vignette, con lotte costanti, senza narrazione o dialoghi, ugh! Io voglio una trama, un ritmo e dei colpi di scena nei miei fumetti, grazietante.
Quindi, sì. È questa la sfida nello scrivere per gli Usa. L’istinto mi spinge a scrivere 5,6 o 7 vignette per pagina, con battute, dialoghi pungenti e grande densità. Quando si tratta di supereroi, non è sempre quel che vuole il lettore, quindi devo controllarmi. O, meglio, devo rilassarmi e seguire il flusso. È molto strano.

Affianco alla tua carriera di sceneggiatore di fumetti svolgi anche una proficua attività di romanziere. È difficile far coesistere queste due attività? E in ogni caso, l’una come influenza l’altra?

In generale, direi di no. Sono due attività così diverse che è come chiedere a un idraulico – che a volte fa l’allenatore di calcio – se la sua capacità di sturare un gabinetto influenzi l’abilità nell’insegnare ai bambini a palleggiare.
Maaaa è stato spesso affermato che i miei romanzi sono un po’ “fumettosi” – personaggi estremi, descrizioni che sembrano uscite da didascalie di storie di supereroi – eeee che molti miei fumetti siano un po’ troppo in prosa e descrittivi. Quindi sì, credo che ogni tanto si sovrappongano. J

X Club
Negli ultimi tempi molti autori, oltre a lavorare per le major, si stanno dedicando alla creazione di prodotti creator owned. Mark Millar, ad esempio, ha lasciato la Marvel per concentrarsi esclusivamente sulle sue creazioni (sulle quali ha controllo e utili totali). Credi sia possibile che il futuro dei comics passi attraverso la creazione di prodotti di proprietà dell’autore e al di fuori del controllo delle grandi case editrici?

Ummm… no, non penso che in un futuro prossimo il mercato sarà dominato da progetti Creator Owned, perché gli editori (che dopotutto hanno i soldi) preferiscono avere il controllo dei propri prodotti. Penso che vedremo molti altri lavori C/O sul mercato, soprattutto perché i metodi di pubblicazione (penso al digitale) permettono una maggiore facilità di accesso al mercato. E questo non può che essere un bene.
Ho anche la sensazione che i cambiamenti che si stanno realizzando nelle case editrici – soprattutto nell’ambito del digitale – cambieranno la maniera in cui certi generi (soprattutto quello supereroistico) dominano la scena. Finora c’è stato un solo motivo per cui gli editori più grandi si sono concentrati su un singolo tipo di storia: perché più il loro prodotto è interrelato e auto-referenziale, più possono fidelizzare la propria fetta di mercato. Ma visto che sta diventando sempre più semplice per i lettori avere accesso ai fumetti (via Ipad e online) non c’è niente che impedisca a questi di provare cose diverse, di innamorarsi di altri generi e rendersi conto (finalmente!) che il fumetto non riguarda solo tizi in costume che si picchiano.  

Recentemente hai sceneggiato X-Club per la Marvel e ti stai dedicando alla serializzazione di uno spin-off on-line di Crossed. Che cosa c’è, dopo questi lavori, nel tuo futuro di sceneggiatore? Qual è il progetto dei tuoi sogni?

Ho molte cose in ballo, già. Ho altri lavori per 2000AD (un certo investigare pagliaccio potrebbe ricomparire in un futuro non troppo distante) e molti altri progetti con Avatar, Boom! e DC. Ho anche molti lavori Creator Owned in serbo, che non tarderanno ad arrivare!


ecco una breve anteprima di Clown con la pistola, graphic novel che in Italia sarà pubblicata da Bao Publishing




5 commenti:

Anonimo ha detto...

Complimenti per l'intervista.
Oltre ad essere ragionata ed istruttiva, mi ha fatto conoscere un autore che ancora non avevo avuto il piacere di leggere.

Comix Factory ha detto...

Grazie!

CREPASCOLO ha detto...

Secondo me, quando si parla di narrazione decompressa, è opportuno operare dei distinguo.
Azzarello ( si vedano i suoi Dark City x Bats e la sua run su Hellblazer più delle cose come 100 Bullets con personaggi suoi ) struttura una storia in una unità di, diciamo, 100 tavole
( praticamente il formato bonelliano ) e le spalma in cinque albi in cui ha tempo e modo di restituire il monologo interiore di un personaggio / io narrante attraverso le dida che fanno da contraltare ai dialoghi sintetici, sincopati.
Bendis ( si vedano principalmente i suoi Avengers ) struttura una storia in 100 pagine, che sono parte di un disegno più ampio, e - se non consideriamo i Mighty Avengers degli esordi che citavano la JLA di Giffen/DeMatteis/AAVV - permettono all'autore di farci sentire ogni singola voce dei personaggi coinvolti. Banalizzando, alcuni albi di Bendis hanno il seguente schema: il team si trova a tavola x la colazione e una minaccia sfonda la parete della cucina, Spidey scherza, Cap coordina, Logan graffia.
Sempre secondo il mio sindacabilissimo parere, la evoluzione di questi modelli e di quanto porta in dose la brit invasion con i suoi drammi cinici in sette tavole "dovrebbe " essere la versione 21mo secolo dei primi numeri di Kriminal e Satanik:
1) ritmo indiavolato
2) tantissimi colpi di scena
3) campi e controcampi con dialoghi serratissimi e "realistici"
4) risoluzione nell'albo ( nella cornice di una continuity )
5) poche dida e quando possibile espresse con font ad hoc come nei film USA degli ultimi 20 anni
6) formato tascabile avvicinabile ai manga o alle cose come Scott Pilgrim.
Recupero del lettore "popolare " e pendolare di cui parlava ieri Gianfranco Manfredi con Akab nel blog Conversazioni sul Fumetto.
Gli autori inglesi - penso ad Ellis, Ennis e Millar - hanno l'abilità necessaria a muoversi in questa direzione.

paolo papa ha detto...

mi attizza sto “Clown con la pistola”.

indiscrezioni su pubblicazioni italiane?

forse la bao pigliatutto?

Anonimo ha detto...

Lo pubblica la Bao ed uscirà ad Agosto.

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