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X-Men: la fine di un'era! Gli ultimi giorni di Chris Claremont alla guida dell'universo mutante! [prima parte]






Di recente Panini Comics ha pubblicato, su Eroi Marvel in Bianco e Nero (collana dedicata alla riproposta nature, senza cioè l'orpello dei colori, di alcuni dei cicli di storie più memorabili della casa editrice newyorkese), l'ultimo ciclo di episodi realizzato da Chris Claremont e Jim Lee sulle pagine di X-Men, diventato un cult imprescindibile per gli amanti degli uomini X.

Imprescindibile perché si tratta degli episodi con i quali si chiude la lunghissima (amatissima e irripetibile) gestione dello scrittore britannico sulle serie mutanti; perché Jim Lee è, forse, all'apice della sua forza narrativa, in una perfetta commistione tra lo storyteller e l'illustratore pinupparo e frettoloso che ha poi caratterizzato gran parte della sua successiva carriera e perché, oltre a far registrare uno dei più clamorosi record di vendita della storia del fumetto nordamericano, chiude definitivamente un'era.

Ma non è tutto oro quel che luccica, e dietro la storia di questo ciclo di episodi (e di tutta la travagliata convivenza - lavorativa - tra Claremont, Lee e Bob Harras) si nasconde una storia decisamente molto interessante che vale la pena di essere raccontata.



Per farlo bisogna fare un salto indietro nel tempo, fino al 1991.

Louise Weezie Simonson aveva appena lasciato New Mutants e X-Factor, le due serie mutanti di cui si era occupata per molto tempo. La cosa non sembrò interessare affatto Bob Harras, editor della divisione mutante, la cui unica preoccupazione sembrava essere quella di non lasciarsi sfuggire Jim Lee, l'artista che, dal momento che era diventato il disegnatore regolare di Uncanny X-Men, aveva fatto schizzare le vendite oltre le 600.000 copie (circa il 25% in più rispetto alle vendite registrate nelle annate precedenti). Per la prima volta, dopo oltre un decennio, Chris Claremont si rese conto di non avere più il controllo assoluto della testata che aveva reso grande; sin dalla partenza di John Byrne, infatti, lo scrittore aveva avuto pieno potere sugli Uomini-X. Anne Nocenti e Louise Simonson, che si erano avvicendate nel ruolo di editor, avevano capito chiaramente che Claremont era in possesso di una fortissima visione creativa della testata e gli avevano lasciato una enorme libertà; entrambe consideravano il loro ruolo di editor di supporto all'autore, supervisionando il processo produttivo e aiutando gli autori qualora fosse necessario. Ma Louise Simonson aveva ormai lasciato il mondo mutante, mentre Anne Nocenti si dedicava ad altro (Darredevil e gli Inumani), al loro posto era subentrato Bob Harras. Caratterialmente diverso da coloro che lo avevano preceduto, una persona piacevole, un buon conversatore e ambizioso. Molto ambizioso. Un vero e proprio uomo d'affari, interessato ai risvolti narrativi delle serie almeno quanto lo era a quelli contabili e commerciali.
Direttamente dalle pagine di Marvel Age,
house organ magazine ufficiale della Casa Editrice,
Bob Harras

Dal canto suo Chris Claremont aveva sempre avuto a cuore il coinvolgimento degli artisti nel processo produttivo, adattando le sue storie al loro stile, facendoli sentire a proprio agio e partecipi all'evoluzione delle vicende dei "suoi" eroi. Alcuni (Paul Smith, John Romita Jr.) si erano limitati a svolgere il loro ruolo di onesti artigiani obbedienti, altri (Frank Miller, Bill Sienkiewicz) erano entrati in perfetta armonia con lo scrittore, creando una simbiosi totale il cui frutto furono (e lo sono ancora) delle opere indimenticabili. Jim Lee, però, aveva una visione completamente diversa da quella del patriarca mutante e subito dopo la conclusione di X-Tinction Agenda il rapporto tra i due cominciò a degenerare. Mentre lo scrittore gli inviava sceneggiature nelle quali gli X-Men parlavano, soffrivano e piangevano, il disegnatore gli restituiva tavole stracolme di azione: calci, fulmini, tuoni e... ragazze. Uncanny X-Men si trasformò nello Sport Illustrated Summer Special con superpoteri, pieno zeppo di conigliette di Playboy travestite da Rogue, Tempesta e Psylocke. Che fine avevano fatto quelle donne caratterizzate in maniera talmente realistica da sembrare tridimensionali? Per la prima volta dopo lunghissimo tempo, lo sceneggiatore si trovò a dover fare resistenza al suo collaboratore artistico, finendo per perdere mestamente la battaglia.

Bob Harras aveva fatto una lunga gavetta nell'X-Office. Ne era entrato a far parte, come redattore di X-Factor, nel periodo di massimo fulgore (e potere) di Chris Claremont e aveva avuto modo di osservare in prima persona cosa fosse in grado di fare lo scrittore, anche di decidere la sostituzione di un team creativo (come aveva appreso a sue spese Bob Layton, primo sceneggiatore di X-Factor con una visione assolutamente diversa da quella di X-Chris). Ma da allora era trascorso molto tempo, Harras aveva scalato i vertici dell'ufficio mutante fino a diventarne responsabile. Uncanny X-Men continuava a dominare le classifiche di vendita, ma l'editor non si spiegava il perché visto che la testata, a suo modo di vedere, si portava avanti stancamente, continuando la sua corsa per inerzia. Per Harras, quindi, non vi erano dubbi, il picco di vendite che si registrò nel 1991 era dovuto solo ed esclusivamente al contributo di Jim Lee. Secondo l'editor, se gli X-Men stavano vivendo una nuova età dell'oro il merito era riconducibile al nuovo Re Mida del fumetto USA. Claremont a quel punto non era che, nella migliore delle ipotesi, l'ultima ruota del carro o, nella peggiore, l'ingranaggio che impediva alla macchina di funzionare a pieno regime. Questa era la visione di Bob Harras, una visione che secondo l'editor avrebbe dovuto apparire evidente a chiunque fosse in grado di vedere al di là delle continue lamentele dello scrittore. E la cosa gli sembrava sempre più evidente via via che nella redazione mutante venivano sviluppate le due nuove serie mutanti: X-Force e X-Men.



Non vi era motivo per lanciare una seconda serie dedicata agli Uomini-X, anzi, il tempo avrebbe rivelato che le nuove testate lanciate in quel periodo, affidate al pieno controllo dei disegnatori sarebbero servite soprattutto a proiettare Jim LeeTodd McFarlane e Rob Liefeld verso l'olimpo delle celebrità (e verso altri lidi) e a spingere la casa editrice verso i più alti livelli di redditività della sua storia (ma anche verso la sua crisi più profonda, terminata con la richiesta del Chapter 11, anticamera del fallimento per le aziende USA). Una serie intitolata semplicemente X-Men, senza alcun aggettivo, avrebbe non solo rappresentato lo spin-off definitivo (destinato a superare la serie dalla cui costola nasceva) ma avrebbe sancito, dal punto di vista di Bob Harras, l'esistenza del un franchise mutante. Gli X-Men, dunque, alla stregua di Star Wars, Indiana Jones, Paperino & Co. non avrebbero dovuto essere un semplice fumetto, ma un brand dal quale creare merchandising, film e... una barca di soldi.

Claremont, da sempre in prima linea per non sfruttare eccessivamente gli eroi mutanti, era naturalmente riluttante, contrario alla creazione di una seconda serie dedicata agli X-Men. Ciò nonostante si mise al lavoro, iniziando a sviluppare le idee per la nuova serie. Il gruppo di redazione era formato, oltre che dallo scrittore designato, da Harras, Lee, Whilce Portacio e Tom De Falco.

De Falco, che all'epoca era l'Editor-In-Chief della Marvel, propose di affidare entrambe le serie a Claremont, che avrebbe dovuto scriverle, in una sorta di crossover perenne, come se si trattasse di una sola serie quindicinale. Ma la proposta non piacque né allo scrittore né all'editor mutante. Entrambi avevano molta esperienza nel realizzare crossover ed erano ben consapevoli delle enormi difficoltà che avrebbero incontrato nel tentativo di realizzare le due serie a zig zag. Coordinare due diversi disegnatori, sebbene Lee e Portacio all'epoca lavoravano nello stesso studio, sarebbe stato molto difficile e si sarebbero creati numerosi errori di raccordo, con un grande sforzo redazionale volto a correggerli.

"Attuare questa idea significherebbe rendere mensile l'incubo dei crossover annuali. Non sono disposto a trascorrere il resto della mia vita intento a correre dietro scadenze" sbottò Claremont, convinto che ogni testata avrebbe dovuto dalle altre con protagonisti diversi e con avventure diverse. Inoltre, con così tanti personaggi a propria disposizione, concentrarsi su soli cinque o sei sarebbe stato uno spreco di risorse, ecco perché lo scrittore propose di differenziare le serie con due gruppi. Dal canto suo, Harras voleva integrare i cinque X-Men fondatori nelle serie principali, e l'idea non dispiaceva affatto allo scrittore che, dopo tanti anni in cui i personaggi erano stati vincolati su X-Factor e appannaggio di altri autori, sarebbero potuti tornare sotto le sue cure. Messo alle strette, Tom De Falco capitolò: "Ok. Fate pure due squadre. Ma siete consapevoli che in questo modo X-Factor resterà senza personaggi?". Un'eventualità che non sembrava turbare Harras che aveva già un'alternativa: recuperare alcuni personaggi minori (e dimenticati) tra i mutanti Marvel e riportali al centro della scena, trasformando nel contempo la squadra in un  gruppo al servizio del governo. Come sceneggiatore di un improbabile gruppo composto da Strog Guy, Wolfsbane, Polaris, Havok, Madrox e Quicksilver fu designato il brillante Peter David. "X-Factor sarà la sorella minore e povera delle serie mutanti" lo mise in guardia Harras; "Meglio così" gli rispose David, raccogliendo una sfida che sembrava persa in partenza e che invece si rivelò vincente e indimenticabile (al punto che alcuni anni più tardi, lo scrittore riprese i personaggi rendendoli protagonisti di un ciclo più lungo e fortunato di quello originale). 

il passato(a sinistra) e il futuro (a destra) di X-Factor
in una bella illustrazione di Tom Raney

Nei mesi successivi alla decisione del lancio della seconda testata con protagonisti gli X-Men, Claremont decise di lasciare Excalibur. Non voleva sceneggiare due testate degli Uomini-X sovraccarico di lavoro e in uno stato di totale esaurimento. Nel frattempo, nel ciclo di episodi intitolato Crossroads (UXM 273-277 visti di recente su Marvel Omnibus X-Men di Claremont e Lee Vol.2), iniziò a gettare le basi per le trame delle due serie. Divise il cast in due gruppi, sulla terra (selvaggia) Magneto e Rogue impegnati a combattere contro Zaladane ebbero una breve storia d'amore destinata al fallimento: "Sono già impegnato. Per quanto un cuore pieno di fantasmi possa esserlo" confida Magneto, prima di rompere definitivamente le promesse fatte al Professor X. "Non sarò mai Charles Xavier. Sono stato un pazzo a tentare. Come lo fu lui credendo che ci sarei riuscito" (*). Nel frattempo gli altri X-Men furono catapultati nello spazio da Lila Cheney impegnati in un'avventura che li vide scontrarsi con la Guardia Imperiale, gli Starjammers, Deathbird e gli Skrull, e ricongiungersi con Xavier. 

Quando Claremont visionò le tavole realizzate da Lee il disappunto (per usare un eufemismo) fu enorme: l'artista aveva modificato la sceneggiatura, introducendo gli Skrull come nemesi, modificando parte dei dialoghi e reintroducendo le classiche uniformi gialloblu. Infastidito dai cambiamenti, Claremont si rivolse a Harras, il quale non gli offrì alcun sostegno: "Che vuoi che faccia? Cosa vorresti che facessi contro quello che è il nostro artista più redditizio?" fu la risposta piccata che ottenne dall'editor

Ma le divergenze creative tra Harras, De FalcoClaremont e Lee erano ben lungi dal terminare. Nei programmi dello scrittore, il Professor Xavier sarebbe dovuto tornare in scena solo per poco, giusto il tempo di morire e lasciare un pesante fardello a Magneto che, nel giro di un anno, sebbene recalcitrante, avrebbe indossato il manto dell'eroe diventando il leader degli X-Men. Ma Harras non era affatto d'accordo, tutt'altro. L'editor pretese e ottenne di far tornare Xavier al suo vecchio ruolo di leader e maestro, facendogli perdere (di nuovo) l'uso delle gambe e riportandolo al suo status quo originale (eventi narrati su UXM 280 e raccolti di recente su MArvel Omnibus X-Men di Claremont e Lee vol.2). A Magneto, invece, toccava reinterpretare il ruolo del cattivo, in modo da apparire in questa veste sul primo numero della nuova serie, completando un back to the basics che avrebbe chiuso il cerchio tra Uncanny X-Men 1 e X-Men 1

Con Xavier tornato a ricoprire il suo ruolo di mentore e maestro, adesso bisognava suddividere gli X-Men in due gruppi e decidere chi avrebbe dovuto essere protagonista di quale serie. Nel corso di una riunione con Lee e Portacio, Claremont gettò le basi delle due collane: entrambe le squadre avrebbero vissuto nella X-Mansion, all'interno della quale i personaggi avrebbero potuto interagire a prescindere dalla squadra di appartenenza; la divisione in squadre aveva senso solo quando si andava in missione. Prendendo a prestito la terminologia utilizzata nei sottomarini nucleari i due gruppi di X-Men sarebbero stati il Blue Team (su X-Men) e il Gold Team (su Uncanny). 

Il Blue Team degli X-Men, illustrato da Jim Lee per la serie
di Trading Cards realizzata dall'autore di origini coreane

Nessuna delle due serie sarebbe stata considerata "la principale", l'unico obbligo sarebbe stato quello di avere Ciclope e Wolverine nel Blue Team. Il resto dei personaggi sarebbe stato scelto in base alle preferenze espresse dai due artisti. Whilce Portacio, che aveva dato grande prova di se disegnando Arcangelo e l'uomo ghiaccio sulle pagine di X-Factor, avrebbe continuato a occuparsene sul team Gold; Gambit, Psylocke e Rogue che erano stati graficamente ricreati dall'estro di Jim Lee sarebbero stati nel roaster dei personaggi della sua squadra. A completare il Gold Team sarebbero intervenuti Colosso e Tempesta, mentre Jubilee e la Bestia avrebbero completato l'altra squadra.


X-Men Gold Team


Dopo mesi trascorsi a pianificare il debutto della nuova serie mutante, sembrava essere tutto pronto. Mancava solo un piccolo dettaglio: per continuare a occuparsi dei mutanti, Jim Lee impose la
condizione di scrivere lui la sua serie. Naturalmente lasciandosi affiancare da Chris Claremont, come avrebbe mai potuto ignorare lo Stan Lee della sua generazione? In poco meno di un anno la situazione lavorativa dello scrittore di origini britanniche si era a dir poco ribaltata, passando dall'essere il Deus Ex-Machina dell'intero universo mutante al ruolo di consulente subalterno a un ragazzino spuntato dal nulla. Mentre l'artista, emozionatissimo dal suo nuovo incarico, iniziò a buttare giù schizzi di nuovi personaggi e uniformi (dalla sua matita nascono gli Accoliti, Omega Red, Belladonna, nuove divise piene di tasche, spalline, giubbotti e finanche una sedia a rotelle ultra-tecnologica per Charles Xavier), lo scrittore era in piena crisi: come avrebbe potuto un ragazzino senza esperienza, conoscere e raccontare in maniera credibile i pensieri e le emozioni di eroi che avevano il doppio della sua età? In realtà Claremont non aveva ancora compreso appieno la situazione. Era convinto che con un po' di tenacia, e altrettanta pazienza, tutto sarebbe tornato come prima. Prima che venisse isolato all'interno dell'X-Office e che il processo creativo delle storie si trasformasse in uno scontro quotidiano nel quale usciva il più delle volte sconfitto.

In breve, però, arrivò il colpo destinato a far dissolvere le sue ultime illusioni. Lo scrittore aveva elaborato una trama molto ambiziosa destinata a spiazzare i lettori e a incollarli alle serie mutanti per almeno un paio di anni, una vera bomba che avrebbe sconvolto i lettori. Quando, però, riferì la sua idea ad Harras non ottenne la risposta che si aspettava: "Scusa Chris, non ho capito bene quel che hai detto. Potresti ripetere?". Claremont non si scompose più di tanto e confermò la sua proposta: "ho intenzione di uccidere Wolverine".




[1 - Continua]

(*) Da Uncanny X-Men 275, ristampato recentemente su Marvel Omnibus X-Men di Chris Caremont e Jim Lee, traduzione di Andrea Plazzi - (c)Marvel/Panini Comics). 

Per scrivere questo lungo articolo ho utilizzato diverse fonti, la più importante è rappresentata dal  blog castigliano Bajo la Mascara.

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