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X-Men: la fine di un'era! Gli ultimi giorni di Chris Claremont alla guida dell'universo mutante! [Seconda Parte]





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La scorsa settimana vi avevo cominciato a raccontare degli ultimi giorni di Chris Claremont alla guida delle testate mutanti. Per oltre tre lustri lo scrittore era stato il patriarca incontrastato di tutto ciò che aveva apposto una X in copertina, ma negli ultimi tempi, e più precisamente dall'arrivo di Jim Lee alla cura grafica della serie le cose erano cambiate radicalmente. Impreziosita dalle raffinatissime matite del disegnatore di origini coreane, Uncanny X-Men aveva fatto registrare un picco di vendite di oltre il 25%, mandando in visibilio Bob Harras, editor dell'X-Office. Più che mai deciso a sfruttare la rinnovata popolarità dell'ammiraglia mutante Harras concesse più spazio decisionale al disegnatore e decise di raddoppiare l'offerta, dedicando agli uomini X una seconda testata mensile. Pur non entusiasta, Claremont si mise al lavoro su trame, cast e antagonisti della nuova serie, scettico ma rassegnato a concedere più spazio al disegnatore rendendolo co-soggettista. A quel punto allo scrittore venne in mente un'idea decisamente incredibile, destinata a sconvolgere l'assetto delle testate mutanti e i lettori: uccidere Wolverine! Ma a differenza di quel che si aspettava, l'accoglienza di Harras fu tutt'altro che incoraggiante.

Claremont aveva studiato fin nel minimo dettaglio la struttura della trama, una storyline destinata a durare almeno ventiquattro mesi, sconvolgendo i lettori e avvinghiandoli alle nuove vicende che avrebbe (s)co(i)nvolto gli X-Men. La prima stesura del progetto prevedeva un nuovo inizio rappresentato dal lancio di X-Men #1. L'albo, oltre a inaugurare la nuova serie, avrebbe rappresentato un punto di partenza ideale per i nuovi lettori. Chi avrebbe cominciato a leggere per la prima volta le storie degli X-Men sarebbe stato introdotto al cast dei personaggi, ne avrebbe scoperto le motivazioni. avrebbe "visitato" la villa e l'ambiente circostante. L'idea sarebbe stata quella di moltiplicare per tre la domanda con cui si concludeva Giant-Size X-Men #1: "cosa faremo con cinquantatré X-Men?".



X-Men #1, tenendo fede alle enormi aspettatevi di casa editrice e lettori, sarebbe stato un vero e proprio blockbuster. L'albo si sarebbe aperto con una sequenza di cinque pagine nelle quali avremmo assistito a decine di uomini-x impegnati in una furente battaglia contro altrettanti avversari. Una sequenza perfetta per il talento grafico di Jim Lee. La comparsa in scena di Ciclope e Tempesta sarebbe stata destabilizzante, ripresi tranquilli in primo piano, intenti a osservare i loro compagni, senza partecipare alla lotta e, apparentemente, senza scomporsi. Osservano, si confrontano, prendono appunti. A questo punto il lettore avrebbe scoperto che si trattava di una simulazione della stanza del pericolo, analizzata dai due leader intenti a decidere i membri delle due squadre. A interrompere bruscamente questo momento di relativa quiete ci avrebbe pensato Magneto. Il confronto tra il signore del magnetismo e Charles Xavier, ex-amico e alleato, è durissimo. La frattura fra i due è insanabile, da una parte le ragioni della Pace e della convivenza, dall'altra quelle della Pugno di ferro della lotta. Un albo di transizione, dunque, che avrebbe preparato il terreno al secondo albo della serie, sulle cui pagine Lady Deathstrike avrebbe ingaggiato un duello letale con Wolverine, al termine del quale, ferita a morte, avrebbe avuto la forza di reagire e strappare il cuore al mutante artigliato. Entrambi sarebbero morti, caduti sul campo. Nei mesi seguenti avremmo assistito ai funerali, al lutto e alla sofferenza degli X-Men per la perdita del compagno d'armi. A questo punto sarebbe entrata in scena La Mano, l'oscura setta di ninja, così come già fatto in passato con Elektra, avrebbe riportato in vita Wolverine. Ai poteri "lenitivi" dei ninja della Mano il fattore di guarigione del Canadese avrebbe reagito in maniera inaspettata, mentre il cuore si sarebbe  rigenerato senza troppi problemi, gli arti avrebbero avuto difficoltà... sarebbero andate in cancrena. Il processo di guarigione, sarebbe stato lungo e molto sgradevole. Ma non avrebbe impedito a Wolverine di tornare in scena a sorpresa su Uncanny X-Men #294, negli inaspettati panni del leader della Mano. Da questo punto in poi la trama avrebbe iniziato a dipanarsi intersecandosi tra le due testate con Wolverine impegnato contro gli X-Men, di cui sarebbe diventato il più letale e inatteso dei nemici, e contro se stesso per la salvezza della sua anima.


Nel frattempo, Claremont avrebbe approfittato per raccontare le diverse reazioni degli altri personaggi al passaggio al lato oscuro di Logan. Le idee sarebbero state diverse, da Scott Summers, determinato e risoluto, che avrebbe optato per uccidere un nemico così letale, a Xavier, irremovibile sulla necessità di redimere l'allievo. Le posizioni più estreme sarebbero state quelle di Jean Grey e Piotr Rasputin: la ragazza avrebbe finto di diventare l'amante, soccorrendolo e tentando di fare breccia nel suo cuore, mentre il russo in un disperato faccia a faccia gli avrebbe strappato gli artigli.

"È il più grande conflitto che gli X-Men abbiano mai affrontato, sin da quando sono stati fondati. Uno di loro, l'anima del gruppo, sarà il loro peggior nemico" Concluse, con orgoglio, la sua presentazione lo scrittore.



La risposta di Harras, fu tanto netta quanto inattesa: "Non funziona".

La proposta di Claremont non avrebbe funzionato. Non avrebbe funzionato perché Wolverine era protagonista di una testata personale e la sua morte avrebbe messo nei guai Larry Hama. Non avrebbe funzionato perché il mutante canadese era il personaggio preferito di gran parte dei lettori che acquistavano Uncanny X-Men (e che avrebbero comprato la neonascente X-Men) e che ogni mese acquistavano anche i numerosi albi sui quali il ghiottone appariva nelle vesti di guest star. La divergenza di vedute tra lo scrittore e l'editor si accese, al punto che la discussione si spostò nell'ufficio di Terry Stewart, il quale diede ragione ad Harras.

Il punto di vista dell'allora presidente della Marvel (lo stesso che, da lì a pochi anni, avrebbe portato la casa editrice sull'orlo della bancarotta) era chiaro e inoppugnabile: la Marvel era un'azienda, e al pari di una macchina costituita da diversi ingranaggi, era formata da diverse persone il cui sforzo era di lavorare, ognuno con il suo ruolo, fianco a fianco con lo scopo di raggiungere un obiettivo comune. Spostare anche un singolo attrezzo, pur se convinti di farlo a fin di bene, poteva essere rischioso, anziché migliorare il prodotto poteva peggiorarlo. Il messaggio era chiaro. Ognuno aveva il suo ruolo e avrebbe dovuto rispettare quello altrui. Quello dello scrittore era di seguire le indicazioni dell'Editor, nonché di accettare un ruolo subalterno a quello di Jim Lee.

La misura era ormai colma, senza esitazione Chris Claremont si rivolse a Bob Harras e gli disse a muso duro: "non ho intenzione di rimanere per aiutarti a distruggere tutto ciò che ho costruito negli ultimi diciassette anni". La risposta di Harras ovviamente non fu affatto accomodante: "non la penso come te". La rottura era ormai insanabile: "se non la vedi in questo modo, non mi dai alcuna alternativa. Fottiti, me ne vado".

I due erano ormai su posizioni inconciliabili, avrebbero potuto parlare ininterrottamente per ore ma non avrebbero mai raggiunto un accordo. Era come se parlassero due lingue differenti. Anziché distendersi, i rapporti si irrigidirono. Harras e Claremont cominciarono, così, a comunicare solo via fax: entrambi erano fermamente intenzionati a lasciare traccia per iscritto di tutto ciò che si dicevano. Nel frattempo bisognava occuparsi anche di gestire la notizia del licenziamento/dimissioni di X-Chris e le possibili ripercussioni di una fuga di notizie. Dagli uffici della Marvel fu, dunque, fatta trapelare l'indiscrezione che lo scrittore stava meditando di prendersi un anno sabbatico dai comics, con la speranza che nel frattempo lo si riuscisse a far recedere dai suoi passi e tornare al lavoro. Ma Claremont non aveva più alcuna intenzione di tornare indietro, il dado era tratto e le sue dimissioni erano irrevocabili al punto che, in un primo momento, era determinato a non partecipare neppure al lancio della seconda testata mensile degli X-Men. Fu la moglie a convincerlo ad apporre la sua firma almeno sul primo numero della nuova serie: la testata era destinata a infrangere tutti i record
di vendite, il che, tradotto in soldoni, gli avrebbe fruttato un significativo introito in termini di royalties (fatto non disprezzabile, visto che c'erano spese correnti e un mutuo da pagare) oltre che, in ogni caso, lo scrittore aveva meritato che il suo nome fosse sulla serie.


Mai prima di allora Chris Claremont era stato così triste. Non era con quello stato d'animo che i fumetti avrebbero dovuto essere scritti. I fumetti avrebbero dovuto essere scritti con divertimento da parte dell'autore, un autore desideroso di comunicare tutto il suo amore per i personaggi, di farli sviluppare e vivere avventure in grado di divertire il lettore. Ma era tutto finito, era finita un'era. Nel frattempo, la trama del primo episodio si espanse e si sviluppò su tre albi. Un'unica sequenza di tre episodi nel corso della quale Magneto e Xavier giungono al confronto finale, divisi da opposte visioni del mondo. Magneto muore tra le fiamme, tradito da uno dei suoi accoliti, ma non prima di salvare la vita degli allievi del suo ex-amico. "Ti lascio il tuo sogno, Charles. Ma temo che col tempo, quando capirai che è sempre stata la speranza di un pazzo, il tuo cuore si spezzerà. Addio, amico mio. (*)" furono le ultime parole profferite da Magneto prima di eclissarsi.

Per l'occasione del lancio dell'attesissima nuova testata la Marvel mandò in stampa l'albo con cinque diverse copertine. Il successo fu strepitoso. X-Men #1 sbancò il botteghino vendendo sette milioni di copie, surclassando i successi clamorosi fatti registrare quello stesso anno con la nuova testata di Spider-Man (anch'essa senza aggettivo) di Todd McFarlane e della X-Force di Rob Liefeld. La maggior parte della tiratura fu accaparrata dagli speculatori (lettori - e non - che allettati dalle valutazioni degli albi arretrati, si accaparravano più copie di albi di sicuro interesse nella speranza di rivenderli a prezzi (molto) maggiorati poco tempo dopo), un'altra parte sugli scaffali dei comics shop e, si calcola, circa un dieci percento tra quelle dei lettori. Con questi dati alla mano, ai piani alti della Marvel quelli di Claremont sembrarono i capricci di uno scrittore bizzoso, e la sua perdita sembrò accettabile. Lo scrittore apprese a caro prezzo quanto gli fosse costato il suo sogno di autonomia e si rese conto che, di fronte al successo della serie, cui lui in gran parte aveva contribuito, anche lui, con i suoi diciassette anni di apprezzatissime storie era sacrificabile. Esaltata dal successo di vendite della nuova serie, e senza aver compiuto nessuna analisi specifica sui dati di vendita, la dirigenza della Casa delle Idee mostrò tutta la sua scarsa capacità di valutare, anche in prospettiva futura l'addio di Claremont. Tom De Falco, Editor-in-Chief della Marvel, non fece nulla per cercare di mediare tra lo scrittore e l'editor delle testate mutanti. Si viveva alla giornata, e l'importante era avere la certezza che Jim Lee restasse saldamente alla guida degli X-Men. Con il talento mostrato dal disegnatore e l'amore mostrato dagli appassionati, il successo si sarebbe potuto replicare a lungo, e questo contava più della permanenza di uno scrittore che oltre tre lustri aveva guidato, con immutabile successo, gli X-Men, trasformandoli da eroi misconosciuti a star amatissime dal pubblico statunitense (e non solo), saldamente al comando della vetta della Top10. In quel momento l'autore che faceva vendere copie e macinava record era Lee, e l'importante dunque era essere certi della sua permanenza. 



Il mercato, però, stava cambiando rapidamente, e quel che fino a poco tempo prima poteva essere inconcepibile, come l'incontrastato duopolio delle Big Two, poteva diventare realtà. All'edizione del San Diego Comic Con del 1991, Jim Lee era uno degli ospiti più attesi. Preso d'assalto da centinaia e centinaia di fan, il disegnatore era circondato da un indaffaratissimo servizio d'ordine. Alla postazione di Jim Lee c'erano file interminabili, costituite in rigoroso d'ordine d'arrivo, di appassionati che desideravano un suo autografo (pensare a un disegno era inimmaginabile). Il disegnatore non concedeva più di tre autografi a persona, ragazzini che spesso, dinnanzi al loro idolo, non avevano nemmeno il coraggio di balbettare un cenno di ringraziamento, mentre i più sfrontati gli facevano complimenti di ogni tipo. L'artista era al settimo cielo, in un anno era diventato un idolo venerato da tutti i lettori e aveva accumulato una vera e propria fortuna. La Marvel aveva da poco annunciato che, in coppia con l'amico Whilce Portacio, il nuovo ragazzo meraviglia del fumetto statunitense avrebbe assunto il controllo di X-Men e Uncanny X-Men (rispettivamente dal quarto e dal 281-esimo albo). Intervistato da Marvel Age, l'house organ ufficiale della casa editrice, dichiarò entusiasta di voler realizzare almeno cinquanta albi. Dichiarazioni importanti, in molti, a partire dai vertici della Marvel, tirarono un sospiro di sollievo, mentre la stampa di settore e (alcuni) appassionati digerivano l'abbandono del Deus Ex Machina di tanti anni di successo liquidandone il lavoro con pochi giudizi sommari: le storie sarebbero diventate più accessibili e semplici, sarebbe stata posta la parola fine alla continua sofferenza dei protagonisti, meno dialoghi avrebbero coperto i disegni e un autore fresco e motivato ne avrebbe sostituito uno stanco e vecchio che andava avanti con il pilota automatico. Peccato che i buoni propositi iniziali di Jim Lee si infransero pochi mesi dopo, probabilmente durante una New York Comic Con quando l'autore si fermò a chiacchierare con Todd McFarlane, Rob Liefeld ed Erik Larsen lasciandosi convincere a lasciare la Marvel per tentare una nuova avventura come socio fondatore della Image Comics (ma questa è un'altra storia, che potrete apprendere direttamente dalle parole di McFarlane cliccando QUI).

Naturalmente anche Claremont aveva buoni propositi e tantissime idee, desideroso di riscattarsi e mostrare al comicdom di avere ancora molte cartucce da sparare, di non essere bollito come sentenziato da alcuni. Dopo la sua fuoriuscita dall'X-Office (e dalla Marvel), nell'estate del 1991 lo scrittore fece la sua prima apparizione in pubblico. Durante l'incontro con stampa e lettori le dichiarazioni furono altisonanti e ambiziose. Dopo aver salvato l'industria del fumetto negli '70, l'autore avrebbe rivoluzionato e salvato quella degli anni '90. Avrebbe creato dei personaggi di cui avrebbe conservato la proprietà intellettuale (al fine di mantenere il controllo totale), ma che sarebbero stati pubblicati dalla DC Comics (idea interessante, sperimentata successivamente solo da pochi altri autori - tra cui gli ex-sodali John Byrne e Alan Davis - che diede la luce a Sovereign Seven, che a dispetto delle aspettative non produsse lo sperato riscontro di pubblico e critica). Claremont non si sarebbe limitato a scrivere fumetti, avrebbe scritto più romanzi da solo e in coppia con George Lucas (progetto che si sarebbe concretizzato nella trilogia fantasy Shadow War, seguito ideale del film Willow) e avrebbe lavorato per il cinema. E gli X-Men? Dimostrando la stessa lungimiranza dei vertici della Marvel, rispose: "Tra pochi mesi nessuno acquisterà più gli X-Men".

A credergli, e non a torto, furono in pochissimi.



[2 - continua]

(*) traduzione dall'inglese di Andrea Plazzi e Gino Scatasta (tratta da Eroi Marvel In Bianco e Nero X-Men di Chris Claremont e Jim Lee - (c) 2018 Panini Comics/Marvel)

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